domenica 21 gennaio 2018

Japanese Tales of Mystery & Imagination di Edogawa Ranpo

Da molto tempo - in sostanza da quando ho cominciato a interessarmi dei film di Teruo Ishii, che ne era grande ammiratore - desideravo leggere qualcosa di Edogawa Ranpo perché i riflessi cinematografici che mi erano giunti (primo tra tutti il fondamentale Horrors of Malformed Men, proprio di Ishii) mi erano sembrati di assoluta grandezza anche dal punto di vista degli spunti narrativi che li avevano originati e perché mi aveva incuriosito la grande dedizione che aveva spinto questo autore giapponese (il cui vero nome era Taro Hirai) ad assumere uno pseudonimo che nella fonia giapponese richiamava Edgar Allan Poe, suo maestro di riferimento.

Finalmente l’ho fatto, ho letto una raccolta intitolata Japanese Tales of Mystery & Imagination (Tuttle Publishing), comprendente alcuni dei suoi più famosi racconti. Non sono rimasto deluso. Tutt’altro. Ho avuto conferma della grandezza e dell’unicità di Ranpo (1894-1965) e mi sento di consigliare questo libro.

Come Poe, Ranpo alterna racconti di orrore psicologico a storie di detection, dove l’investigazione è anche quella dell’animo umano. In entrambi i casi, Ranpo si dimostra un maestro anche per l’originalità degli spunti che una scrittura piana e gradevole riesce sempre a sviluppare in modo avvincente e suggestivo. Le sue storie sono spesso storie di ossessioni che arrivano al parossismo: che sia quella per gli specchi o quella per un volto femminile visto una volta sola e da ricercare costi quel che costi, sono ossessioni che spingono chi ne soffre alla ricerca dell’assoluto, con esiti a volte sorprendenti. Altre ossessioni sono ancora più bizzarre. Rimane famosa quella che è alla base di uno dei racconti più tipici di Ranpo (The Human Chair) in cui un valente artigiano costruisce una poltrona con un’intercapedine tale da consentirgli di inserirvici dentro e poter sentire su di sé chi si siede sulla poltrona. I riflessi morbosi che spesso si insinuano nei racconti di Ranpo sono un’altra significativa caratteristica della sua scrittura. Basti pensare che nel caso del racconto in questione l’artigiano si innamora di una donna che si siede sulla poltrona (su di lui), anche senza averla mai vista. Un altro racconto famoso è Caterpillar, che nel 2010 Koji Wakamatsu ha portato sullo schermo: è la storia del morboso rapporto tra un reduce di guerra tornato a casa senza arti e sua moglie. E restando in ambito cinematografico anche Gemini (1999) di Sninya Tsukamoto è tratto da un racconto di questa raccolta. Ma sono parecchi i film ispirati a Ranpo ed è inutile cercare di farne un elenco in questa sede.

Nel caso della raccolta in questione, la traduzione è stata supervisionata da Ranpo stesso e quindi si presenta come di particolare interesse. Ranpo, infatti, comprendeva bene l’inglese, anche se non era in grado di scrivere in inglese e quindi di tradurre le proprie opere. Desideroso, però, di portarle a conoscenza del pubblico di lingua inglese si era impegnato in un lungo lavoro con un traduttore suo amico per arrivare a una traduzione fedele e concordata.

Questa raccolta è stata tradotta in italiano con il titolo L’inferno degli specchi nel 2011 (Collezione Urania n. 99). Quindi chi vuole leggerla in italiano sa dove trovarla. Io l’ho letta in inglese in formato Kindle. In qualunque modo vogliate leggerla, non credo ve ne pentirete. Per quanto mi riguarda credo che proseguirò nell'esplorazione del mondo letterario di Ranpo.

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