lunedì 6 febbraio 2017

Fuoco e fumo di Stefano Simone

Il bullismo è un fenomeno particolarmente odioso (e lo è anche il suo parente stretto, il cosiddetto nonnismo, presente in particolare nelle caserme quando c’era il servizio di leva, soprattutto: lo spirito è lo stesso, l’isolamento del singolo più debole e la sopraffazione). Me ne sono occupato anche come sceneggiatore di fumetti proprio perché penso che sia doveroso farlo. E forse anche utile.

Il nuovo film di Stefano Simone si intitola Fuoco e fumo e proprio di bullismo tratta. Il titolo viene da una frase di Benjamin Disraeli, uomo politico e scrittore dell’800, riportata all’inizio del film: “Il coraggio è fuoco, il bullismo è fumo”. Citazione che non conoscevo, ne prendo volentieri atto.


La storia è ambientata in un istituto tecnico di Manfredonia (tutto il film è girato a Manfredonia) ed esordisce all’inizio di un nuovo anno scolastico, tra presentazioni piene di buoni propositi (del preside) e conoscenze e amicizie che si allacciano. Stefano (Gianmarco Carbone) è un bravo ragazzo perfettamente inserito e mentalmente aperto e positivo. Fa amicizia con Silvana (Desiree Manzella), una ragazza che gli piace, e con il suo amico Dino (Michele Renzullo), ragazzo gay socievole e simpatico. Mentre Stefano e Silvana sono in classe insieme, però, Dino si ritrova come compagni di classe quattro bulli trucidi e volgari (Antonio Rignanese, Luca Nobile, Enzo Misuriello, Luca Ferrandino) che, assieme a una bulla (Giorgia Croce) che fa da mosca cocchiera, non perdono occasione per deriderlo e minacciarlo. Dino si fa forza con l’amicizia di Stefano e Silvana, oltre che di Giovanni (Luca Cioffreda), altro ragazzo preso di mira, e di Adriana (Melissa Salvemini), la sua compagna di banco. Nonostante tutto, però, le cose precipitano e finiscono in dramma.


I vari aspetti della questione vengono presentati con equilibrio e completezza. I genitori di Dino sono solidali e comprensivi nei suoi confronti, non hanno alcun problema con lui e lo accettano in pieno. Le istituzioni scolastiche, una volta messe a parte del problema, sono anch’esse comprensive e benintenzionate. Il guaio è che, in sostanza, tutto questo non basta e non si traduce in un impatto effettivo sulla questione, ad affrontare la quale le vittime restano in sostanza da sole. C’è di fondo, quindi, l’incapacità di governare il problema al di là delle belle parole. La reazione dei professori è comunque diversa e, se quella di una professoressa è di sostanziale indifferenza, spicca il comportamento deciso del professor Colombo (molto buona la prova di Filippo Totaro, già visto in altri film di Simone, Gli scacchi della vita e Weekend tra amici). Emerge però, come detto, soprattutto la difficoltà da parte dei ragazzi - vittime e loro amici - di venire a capo del problema per il senso di impunità che i bulli cavalcano con soddisfazione.
Il personaggio più interessante è, non a caso, quello di Dino, abbastanza sfaccettato e capace di rendere in modo efficace la persecuzione continua che si trova a subire.


La conseguenza del bullismo, come detto, nella vicenda raccontata dal film è tragica. Ma è interessante che nemmeno la tragedia provochi una resipiscenza da parte dei bulli che anzi sembrano trarne spunto per un salto di qualità nelle loro azioni. 


La soluzione finale pare denotare una profonda sfiducia nella possibilità delle istituzioni e della società di venire a capo del problema. In sostanza sembra ridurre la questione alla necessità, o inevitabilità, di uno scontro fisico, di una reazione giustizialista del singolo o dei singoli. E' vero che tale assunto è temperato da un parziale recupero della giustizia istituzionale, ma qualche piccola perplessità resta anche perché nella realtà pare improbabile che lo scontro fisico possa concludersi come quello del film. In ogni modo è chiaro che lo scopo del film è quello di denunciare il bullismo e il risultato è di certo raggiunto.


Qualche didascalismo di troppo tradisce le “necessità” del messaggio e, a mio avviso, alcuni dialoghi difettano di magniloquenza: in particolare, i dialoghi dei ragazzi “buoni” sono un po’ troppo ingessati (soprattutto quelli del protagonista) e poco spontanei, troppo letterari e forbiti, lontani dalla normale parlata giovanile. E la cosa mette un po’ in difficoltà i giovani attori che non sempre riescono a reggerli con disinvoltura, pur non difettando certo di impegno e di buona volontà. Paradossalmente - o forse no, in fondo la storia del cinema è piena di villain che risultano più briosi degli “eroi” - sono più vivaci, brillanti e appropriati i dialoghi dei bulli. Senza voler fare graduatorie di merito che potrebbero fare torto a interpreti che ce l’hanno messa tutta, si può segnalare comunque, tra i ragazzi, la buona prova di Michele Renzullo in un ruolo certo non facile.


In alcuni momenti Simone - che cura anche fotografia e montaggio - ritrova lo stile del thriller, come quando inscena con buona gestione della tensione il tentativo di aggressione ad Adriana da parte del gruppo dei bulli. Lì montaggio, riprese a mano e azione sono ben gestiti, quasi un momento di libertà creativa rispetto agli obblighi dell’impegno sociale dipendente dal tema affrontato. Anche il brano in cui, stile Arancia meccanica, i bulli si danno da fare con le maschere sul volto è più rappresentativo dello stile figurativo di Simone.


La storia segue un percorso logico e prevedibile, ma qualche svolta inconsueta la mantiene comunque interessante, anche se alcune lungaggini - come la festa a casa di Giovanni, insistita - e il generale tono didattico non aiutano a farla scorrere in modo fluido. Visualmente, certe ambientazioni nel degrado urbano forniscono uno scenario adeguato al degrado morale.

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