martedì 24 maggio 2016

Bob Dylan 75

Anche quest’anno il 24 maggio impone in questo blog un post celebrativo e augurale per il compleanno di Bob Dylan, il settantacinquesimo per l’esattezza, come i più avveduti potranno arguire dal titolo.

Gli anni passano, ma l’attività del nostro non accenna a rallentare e questo è un bene che è facile prendere per scontato, ma in realtà dev’essere motivo di grande soddisfazione perché è ben raro che un artista, raggiunta questa età, continui a concedersi e a essere creativo. Di questi giorni, per la verità, è la notizia del prossimo tour celebrativo di Charles Aznavour alla tenera età di 92 anni, per cui, in effetti, c’è da ben sperare anche per il futuro.

A celebrare il compleanno è anche l’uscita, qualche giorno fa, del nuovo disco di Bob Dylan, la cui copertina è riprodotta qui sopra. Ancora un disco di cover di ascendenza sinatriana e qualche cenno di insofferenza da parte degli appassionati c’è stato, pur eclissato dai peana della critica. In effetti, Shadows in the Night poteva essere sufficiente e Fallen Angels sembra essere un’aggiunta superflua. Dylan, generalmente, non ama ripetersi. Di solito tenta strade anche solo parzialmente diverse. Un parallelo con questo dittico può essere trovato nell’analogo dittico di cover, in quel caso acustiche e da solo, che contrassegnarono le uscite discografiche del 1992 e 1993, vale a dire Good As I Been To You e World Gone Wrong. Anche in quel caso, pur se le cover scelte andavano in una direzione ritenuta più o meno canonica e quindi accettabile da parte degli appassionati dylaniani, si notò la stranezza dell’iterazione, anche se una differenza di “umore” c’era allora e in effetti c’è anche adesso perché Shadows in the Night e Fallen Angels sono umoralmente diversi. Allora il desiderio di tornare alle radici portò notevoli frutti nel prosieguo della carriera di Dylan e quel dittico acustico fu anche cruciale in una sorta di riscoperta della chitarra, tanto è vero che nel periodo successivo Dylan la suonò con maggiore ricercatezza e impegno anche dal vivo. In questo dittico, invece, Dylan sembra essere andato alla riscoperta (e alla “riparazione”) della propria voce, mettendola alla prova e concentrandosi su essa, proprio in relazione con The Voice per eccellenza. La migliore qualità vocale dei suoi live attuali è incontestabile ed è possibile e probabile che ciò sia in conseguenza o comunque in relazione con le sue cover alla Tin Pan Alley: che la migliore qualità vocale abbia reso possibile le cover o che sia stato un fenomeno in parte inverso, poco importa ai fini pratici.

Il tour continua con le scalette più o meno bloccate, ma con una qualità complessiva eccezionale, con alcune canzoni a spiccare in modo notevole. La versione di Things Have Changed che Dylan canta in questi anni è strepitosa, per fare solo un esempio. Quest’anno, al momento, non si hanno notizie di passaggi italiani, ma la speranza c’è sempre.

La Bootleg Series si è arricchita di un altro capitolo, The Cutting Edge, dedicato al biennio d’oro della produzione dylaniana, il 1965/66. Una collezione imperdibile anche se, anche qui, spero sempre in qualcosa che batta strade meno conosciute. Per me i Bootleg Series migliori sono stati il primo e Tell Tale Sign, proprio perché scavavano antologicamente negli archivi trovando perle inaspettate anche per i cultori più esperti (chi aveva mai sentito Angelina prima del 1991? O Red River Shore prima di Tell Tale Sign). Spero che prima o poi, tra l’altro, facciano un cofanetto dedicato ai grandi live trascurati, come quelli del 1981 (periodo eccezionale), o a quella stupenda performance acustica del novembre 1993 (Supper Club, per intenderci). Comunque, vedremo. Per il momento l’importante è che la ruota continui a girare vorticosamente.

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