mercoledì 22 luglio 2015

Burqa di Marco Pavone

Alan Burlesque è un uomo popolare, ricchissimo, di successo. Gaudente e donnaiolo, se la spassa alla grande con il suo harem personale. Ha un cagnolino di nome Vespasiano che lo accompagna e a cui è affezionato. Tutti lo chiamano il Capitano perché una volta salvò migliaia di persone con una manovra spericolata mentre si era trovato al timone di una nave. Capo del governo, attrae parlamentari dell’opposizione che si uniscono a lui  chiedendogli soldi e offrendogli completa solidarietà. Il giornalista Agatangelos lo avversa e lo pressa e per il suo talk show preannuncia come ospite una ragazza che afferma d’essere stata in un’orgia con lui. Se qualcuno a questo punto comincia a cogliere qualche elemento di similitudine, il fatto che Burlesque abbia il volto di Berlusconi rende chiara la metafora. Burlesque gioca a biliardo con un cannoncino colpendo delle grandi palle da biliardo con dentro amici e personale. Ha contatti con consorterie segrete che rappresentano i poteri forti. Vuole costruire un grande grattacielo ed è divertito nel sentire che c’è chi lo ritiene un simbolo della sua potenza fallica. Ma ha i suoi problemi: è tormentato da incubi nei quali compare la morte con tanto di falce e dei magistrati dall’aria savonarolesca gli appaiono ovunque armati di avvisi di garanzia. Ma soprattutto, una misteriosa donna in burqa lo tormenta, comparendo ovunque in modo minaccioso.

Marco Pavone ha già dato buona prova di sé con alcuni cortometraggi d’animazione (il meritevole L’ultimo metrò è senz’altro da segnalare) nei quali il suo trascorso di disegnatore di fumetti si rende evidente e con questo film - Burqa - ha coraggiosamente affrontato la notevole sfida del lungometraggio animato.


L’animazione digitale è abbastanza fluida e gradevole anche se non ineccepibile (risente probabilmente del budget), ma i disegni sono di sicuro appeal, con un realismo trasfigurato che crea un’atmosfera curiosa, cupa e bizzarra. Lo stile è molto personale e i personaggi sono tratteggiati con abilità ed efficacia. L’uso del colore è attento e inventivo dando luogo a immagini fortemente caratterizzate e tenebrosamente attraenti. La storia prende spunto dalla realtà, ma ne dà una versione surreale, spesso trasformata, alterata, attraverso simbolismi e viluppi onirici in una rilettura psicanalitica della storia politica italiana degli ultimi decenni.


La storia (dello stesso Pavone che ha anche sceneggiato assieme a Giuseppe Sepe) è raccontata con qualche lentezza e qualche ripetizione. Come una sorta di Charles Foster Kane, Burlesque è visto in tutte le sue sfaccettature, nella sua grande potenza e nelle sue debolezze causate anche dal suo delirio di onnipotenza. 


Alla fine la meditazione più che su Berlusconi è sul potere più o meno assoluto e su ciò che comporta in chi lo cerca o cerca di praticarlo. Burlesque ha il volto di Berlusconi per un effetto simbolico, ma il personaggio in sé è la sublimazione di un prototipoa sé stante e assume caratteristiche autonome tra analogie e diversità.


Incentrato su un mistero che monta sempre più, il film diventa quasi un delirante thriller psicanalitico, una specie di tenebroso viaggio nella psiche del potere.


Un po’ troppo lungo per il suo stesso bene, avrebbe beneficiato di un ritmo più serrato e di una rappresentazione più contenuta del lungo delirio finale, che presenta immagini suggestive, ma è forse troppo insistito. Il finale è adeguatamente spiazzante anche se forse un po’ troppo furbo nel rimescolamento delle carte.


Nell’insieme, Pavone dimostra capacità e ambizioni che fanno ben sperare per il prosieguo della sua carriera.

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