domenica 29 marzo 2015

Il cinema dell’eccesso (CRAC Edizioni): cosa c’è dentro. Cap. 1 Pete Walker






Per presentare al meglio il mio nuovo libro uscito da poco - Il cinema dell’eccesso Vol. 1 Europa (Crac Edizioni) - mi sembra opportuno dare un’indicazione abbastanza precisa del suo contenuto. Così chi dovesse essere interessato all’argomento può sapere se, in linea di massima, il libro può rispondere alle sue esigenze.

Il libro si occupa del cinema di exploitation - genere trasversale che percorre molti generi, ma ha profonde radici nell’horror e in altri generi estremi - attraverso alcuni dei suoi autori principali. Ho scelto questo approccio per seguire e sottolineare il percorso autoriale di questi registi, dando loro la massima attenzione critica. Ho esaminato quanti più film possibile cercando di delineare la parabola creativa di ciascuno.

Detto questo, mi sembra giusto dedicare un post a ciascuno dei capitoli di cui si compone il libro, partendo dal primo, che si occupa di Pete Walker, regista inglese, noto soprattutto per i suoi feroci horror che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del genere anche se non sono stati premiati da un adeguato successo commerciale. 




Nel primo capitolo del libro ripercorro gli inizi di Walker nel cinema erotico, le incursioni nel noir e nel thriller fino ad arrivare all’esplosione horror e alle indecisioni finali. Il tutto nell’arco di una carriera durata una qundicina danni: non molti, ma intensi. Alla base c’è il mio articolo della serie Kings of Exploitation pubblicato su Segnocinema ormai 13 anni fa, ma proprio il tempo trascorso mi ha permesso di allargare il campo d’analisi a film che all’epoca non avevo potuto vedere (e di rivisitare laddove necessario quelli già visti). Ci sono quindi film come, per esempio, Man of Violence, Strip Poker o Home Before Midnight, quest’ultimo un curioso ritorno a tematiche sexploitative in chiave melodrammatica. Ma naturalmente non mancano i film più celebrati, da Nero Criminale a La casa del peccato mortale, horror indimenticabili che hanno precorso i tempi. Pochi autori sono riusciti a coniugare critica sociale e horror feroce in modo così efficace restando fermamente all’interno di un realismo dal quale ogni concessione al soprannaturale è sostanzialmente bandita. Le belve sono tra noi, era infatti il sottotitolo italiano di Nero criminale.

Inoltre, c’è un’intervista esclusiva a David McGillivray condotta appositamente per questo libro. McGillivray è stato lo sceneggiatore con cui Walker ha stretto un fortunato sodalizio creativo proprio per i suoi celebrati horror e anche per questo è stato un piacere poterlo intervistare. Ma oltre agli horror per Walker, McGillivray ha sceneggiato altri film interessanti - dentro e fuori dall’horror - oltre ad aver avuto una carriera intensa, tutt’ora in corso, in praticamente tutti i media. Per cui, credo, l'intervista - che non si limita solo al suo lavoro con Walker - si presenta di particolare interesse. Ho colto l'occasione, tra l'altro, nella parte introduttiva all'intervista, di occuparmi di un interessante cortometraggio horror del 1980 (The Errand), scritto da McGillivray e, direi, non molto noto.

Personaggio interessante e unico anche nella sua parabola umana, Walker è un regista da scoprire e riscoprire, così come i suoi film sono da vedere e rivedere. Spero che il libro possa servire anche a questo.

lunedì 9 marzo 2015

Il cinema dell'eccesso (CRAC Edizioni): il mio nuovo libro

Come da oggetto, è uscito il mio nuovo libro. Si intitola Il cinema dell'eccesso - vol. 1 Europa (da cui i più arguti intuiranno che non è finita qui) ed è edito da Crac Edizioni (318 pagine, € 24). Tornerò a scriverne abbondantemente nei prossimi giorni. Per il momento mi preme segnalare che, oltre che in libreria, il libro è acquistabile presso la casa editrice e presso i consueti siti di vendita on line, tra cui Amazon, Ibs, Mondadori e Libreria Universitaria.

A titolo informativo, riporto quanto è contenuto nella scheda sul volume, così potete avere un'idea di cosa contiene:

"Alieni proteiformi e assassini coinvolti in strani ménage a trois ad alto tasso erotico, casalinghe col vizio del cannibalismo e la passione per il trapano elettrico, prigioni femminili in località tropicali con torride rivoluzionarie contro il potere, irsuti licantropi ispano-polacchi contro i samurai nel Giappone medievale, vampire di ogni ordine e grado assetate di sangue (e non solo), giustizieri della notte privati della parola ma non della capacità di reagire con violenza inaudita, bizzarre riletture fumettistiche e metacinematografiche della figura dell’agente segreto, psicopatici e psicopatiche di vario tipo, ognuno con il suo trauma (infantile e non), irriverenti rivisitazioni ucroniche della storia di Giovanna la Pazza, improbabili rock band contro Dracula...
Di questo e molto altro sono fatti i film di exploitation, un genere trasversale che attraversa tutti i generi - dall’horror alla fantascienza, dal thriller all’action, dal noir all’erotico - e fa del profitto la sua stessa ragione di vita. Però, usando una materia così “vile” come mezzo di espressione, un drappello di spavaldi registi ha avuto la libertà di realizzare anche opere profonde, complesse e artisticamente uniche.
Questo libro - il primo di due volumi separati - compie un affascinante viaggio tra una moltitudine di film autenticamente originali, ripercorrendo con rispetto e rigore critico la carriera di alcuni dei maggiori autori di questo “super genere”, presente nelle cinematografie di tutto il mondo.
Il secondo volume si occuperà dei registi appartenenti al cosiddetto “Resto del Mondo”, a voler essere un po’ eurocentrici. In questo primo volume, invece, sono di scena i registi europei, di ciascuno dei quali viene tracciata la parabola artistica in modo ampio e articolato: Pete Walker (La casa del peccato mortale), alfiere dell’horror politico e crudele; Jesus Franco (Vampyros Lesbos), infaticabile autore di circa 200 film, alcuni inguardabili, altri sublimi; José Ramón Larraz (Symptoms l’incubo dei sensi), fumettista passato con successo al cinema; Jean Rollin (Fascination), poeta dell’exploitation erotica; Paul Naschy/Jacinto Molina (El caminante), il licantropo che volle farsi regista; Norman J. Warren (Inseminoid), abile e tenace rielaboratore di trame fantahorror.
In appendice al capitolo su Pete Walker, un’intervista esclusiva a David McGillivray, sceneggiatore dei migliori horror di Walker e non solo, oltre che saggista, commediografo, attore e molto altro ancora."



mercoledì 4 marzo 2015

The Night We Called It a Day: il nuovo video di Bob Dylan

Il nuovo video di Bob Dylan è dedicato alla canzone The Night We Called It a Day, tratta dall’album di standard sinatriani Shadows in the Night, ed è un divertito omaggio al mondo del noir, del quale recupera le scelte figurative, con un bianco e nero modulato in ombre e luci, e i personaggi tipici, non esclusa la dark lady, che del noir è presenza caratteristica e quasi imprescindibile.

Come ho scritto più volte, anche nel mio Il cinema di Bob Dylan, Dylan ha spesso mostrato interesse per il cinema e per il cinema noir in particolare. Già una volta aveva tentato di utilizzarne stili e contenuti per un video, ma quella volta l’esperimento era sostanzialmente fallito, pur se i presupposti sembravano ideali. Il regista prescelto infatti era Paul Schrader, un autore di tutto rilievo, avvezzo ad aggirarsi nei meandri esistenziali dei thriller neo-noir. Anche la canzone prescelta quella volta (Tight Connection to My Heart) era “giusta” perché ricca in sé di riferimenti a quel mondo con citazioni bogartiane o comunque hard-boiled e una “storia” che era un film in miniatura, opaca e sfuggente come quelle dei noir. E tutto l’album da cui quella canzone era tratta (Empire Burlesque) si segnalava per un gioco di rimandi e citazioni cinematografiche. La scarsa convinzione di Schrader e un approccio forse troppo moderno e di (volontaria o involontaria) parodia portarono alla scarsa riuscita del tentativo, all’interno del quale Bob Dylan, come “attore”, risultava spaesato.

Gli ultimi video mostrano invece un Dylan più a suo agio, fermamente intenzionato a divertirsi impersonando dei cliché che gli sono evidentemente cari. Nash Edgerton, regista di tutti gli ultimi video di Dylan, sembra aver trobvato la chiave giusta per valorizzarlo con una sapiente miscela di anticonformismo, ironia ed eleganza formale, spesso all’insegna di una violenza che nel caso del video di Duquesne Whistle era “realistica” e metaforica e qui è invece chiaramente ironica e, se può esserlo la violenza, nostalgica.

Bob Dylan, in un ruolo affabilmente bogartiano, è affiancato in modo godibile da un veterano di Hollywood come Robert Davi (Trappola di cristallo e moltissimi altri film), faccia giusta da gangster se mai ve ne sono state, e si esibisce in un simpatico intreccio da doppio-triplo gioco, cui si presta anche una bionda dark lady dallo sguardo assassino, interpretata in modo più che adeguato da Tracy Phillips.

L’effetto complessivo è gradevole e a volte spiazzante. La ricerca formale non è tanto rivolta a una ricreazione esatta del noir degli anni ‘40, quanto a quella della sua “idea”, del suo “mito” e in questo senso si giustificano anacronismi e apparenti imprecisioni filologiche. Come nel caso di Duquesne Whistle, ciò che accade nel video non ha diretto collegamento con la canzone, ma se in quel caso esprimeva comunque in un certo modo l’anima dell’album da cui era tratta (Tempest), in questo caso rimanda al mondo fumoso e torbido dei night club cui The Night We Called It a Day comunque appartiene.



Il video è facilmente vedibile su YouTube.