sabato 27 luglio 2013

Weekend tra amici

Gianni, Marco, Stefano e Fabrizio sono quattro amici di vecchia data con in comune una grande passione calcistica (per squadre diverse, mai nominate esplicitamente). Alcuni di loro hanno difficoltà di vario genere, ma le superano pur di godersi in santa pace in Tv - come fanno ogni anno - un weekend calcistico in una villetta fuori mano affittata appositamente: l’occasione, come sempre, è un torneo quadrangolare con le squadre per cui, rispettivamente, fanno il tifo. Solo che la pace è più presunta che reale: antiche recriminazioni, problemi quotidiani e tifo calcistico creano tensione. Il torneo subisce un imprevisto rinvio e i quattro anticipano la cena in attesa dell’inizio. Ma le cose non vanno come era previsto e la violenza dilaga.

La situazione di partenza è abbastanza tipica: un gruppo di amici cerca la serenità e una pausa dalle angustie quotidiane in un rito calcistico-amichevole che però ormai è corrotto dal passare del tempo e forse non è mai stato così innocente. Il calcio è l’unica cosa che li unisce ancora, ma proprio il calcio più che una vera passione è in fondo un pretesto: ai quattro non interessa più molto, è solo un modo per vivere in forma vicaria lotte e vendette che si vorrebbero tenere lontane dalla realtà. Finché è possibile. Le ripicche, le delusioni, le invidie sono infatti un ostacolo alla riemersione dell’antica familiarità. Il regista Stefano Simone inscena con abilità l’inquietudine crescente, la tensione strisciante, tra tentativi di familiarizzare e battute infelici e cattive che colpiscono duro proprio chi è più in difficoltà. La ferocia esplode improvvisa, però quasi inevitabile. Ma se il primo delitto risulta credibile nella sua dinamica e nella sua esplosiva causalità, diverso è il caso del secondo delitto che, se pur astutamente giocato sull’inversione delle aspettative, risulta piuttosto forzato. è però il segnale della natura di thriller “filosofico” del film. La credibilità della conclusione dipende molto dall’atteggiamento del singolo spettatore verso questa caratteristica. La svolta, comunque, è nel complesso ben gestita, nei limiti del possibile, anche se il finale manca del colpo d’ala e risulta sostanzialmente ineluttabile.


Discreta nel complesso la prova degli attori, con una menzione particolare per Matteo Perillo che affronta con convinzione il personaggio forse più complesso. Valida la sceneggiatura di Francesco Massaccesi, articolata e brillante nei dialoghi. Il soggetto presenta invece delle forzature proprio per la necessità di dare corpo alla “filosofia” del film. 


Stefano Simone - del suo precedente film ho scritto qui - realizza sicuramente il suo miglior film sino a oggi e il fatto che la crescita qualitativa delle sue opere sia costante fa ben sperare per il futuro. La sua regia è fluida e sicura, le inquadrature sono sempre ben scelte e rifuggono dalla forzata sperimentalità dell’esordiente.





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