mercoledì 20 marzo 2013

Frammenti tardivi su Chronicles Vol. 1 di Bob Dylan

L’avevo già letto, naturalmente, appena era uscito, nella versione originale in inglese. Però recentemente l’ho riletto, nella traduzione italiana di Alessandro Carrera: la maggiore familiarità con la lingua mi ha permesso una lettura più distesa e rilassata. Gran bel libro. Parlo, come si capisce dal titolo di questo post, del volume autobiografico Chronicles Vol. 1 di Bob Dylan, ma non ci torno sopra per una recensione ormai fuori tempo massimo (tra parentesi, la lettura è consigliata a tutti, ovviamente, ma questo ça va sans dire). Ne parlo qui solo per fare un paio di osservazioni su due punti particolari, entrambi verso la fine del libro. Non che siano più brillanti o acuti di altri, ma, sapete com’è, c’è sempre qualcosa che ti colpisce di più. E se non è un randello, è di solito una cosa positiva.

La prima è una riflessione che ben si attaglia allo stato d’animo con cui mi sembra di seguire le vicende dell’attualità, politica e non. Scrive Bob Dylan, riferendosi al se stesso dei primi anni ‘60: “Perfino le notizie dell’attualità mi rendevano nervoso. Mi piacevano di più le notizie vecchie. Tutte le notizie nuove erano brutte. Meno male che non le dovevo sopportare per tutta la giornata. Ventiquattr'ore al giorno di notizie continue sarebbero state un inferno”. Non è condivisibile? Il fascino delle notizie vecchie è insuperabile: dato che sono successe da tempo, hanno perso l’urgenza e la pericolosità, fanno parte dell’ineluttabile. Mi capita spesso, quando vedo un vecchio giornale o una vecchia rivista di tanti anni fa: sfogliandolo, penso a quante brutture quelli che lo stavano leggendo al momento della prima uscita o lo avevano scritto si erano risparmiati sino a quel punto, a quante cose detestabili sarebbero accadute in seguito e avrebbero potuto essere evitate. Ovvio che questo accada soprattutto ha l'età per ricordare con maggiore affezione epoche passate, ma credo ci sia anche un fondo di verità incontestabile e cioè che le cose vanno sempre peggio. Del resto, chi apprezza Bob Dylan ricorderà anche questi versi di Caribbean Wind: “Every new messenger bring evil report/’bout armies on the march and times that is short/And famines and earthquakes and train wrecks and the tearin’ down of the wall”. Quali immagini migliori per il telegiornale della fine del mondo? C'è da immaginarseli i giornalisti frenetici per dare per primi le notizie del collasso finale per poi collassare anche loro insieme a tutti e tutto. Naturalmente, quello che paventava Dylan nel suo libro - i notiziari 24 ore su 24 - si è poi verificato (ma questo il Dylan scrittore lo sapeva bene e l'ironia non è casuale).

L’altro aspetto è una curiosità, tale soprattutto per chi segue (e, seguendolo, ogni tanto lo raggiunge) questo blog e quindi ha qualche familiarità con il cinema dell’orrore. Scrive Bob Dylan, riferendosi all’ondata di ribellione che avrebbe sconvolto la seconda metà degli anni ‘60: “Di lì a pochi anni una vera e propria bufera di merda si sarebbe scatenata. Tutto avrebbe cominciato a bruciare, reggiseni, cartoline precetto, bandiere americane, e anche i ponti alle spalle. Tutti a sognare un’eccitazione senza fine. La psiche dell’intera nazione stava per cambiare e in molti modi sarebbe stata simile alla notte dei morti viventi”. Nella versione originale Dylan fa riferimento espresso a Night of the Living Dead: lo scrive con le iniziali maiuscole, come se fosse un titolo (anche se non lo scrive in corsivo, come vengono invece indicati i titoli, anche nel suo libro), proprio il titolo dell’influente e fondamentale film di Romero. Avrà visto il film? Si sarà riferito proprio a quello? L’ipotesi è suggestiva perché indicare proprio il film di Romero come metafora dell’America di quegli anni sarebbe proprio in linea con la lettura che del film hanno dato i critici (me, umilmente, compreso). Chissà. Bob Dylan è interessato al cinema e ha citato varie volte film horror - anche piuttosto oscuri - nella sua trasmissione radiofonica, per cui tutto è possibile. Ricordo che in occasione della prima edizione del mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) per un certo periodo avevo accarezzato l’idea di mettere sul retro copertina una citazione dylaniana pertinente. E cioè: “Welcome to the land of the living dead”. Tratta da Brownsville Girl, naturalmente. Curiosamente, Land of the Dead (La terra dei morti viventi, nella traduzione italiana) è diventato il titolo del quarto film di Romero sui morti viventi. Strani intrecci.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao Rudy,
bel pezzo / è capitato anche a me di prendere in mano il libro in edizione italiana a distanza dalla prima lettura in lingua originale e confermo che la lettura è stata più rilassata e di nuovo istruttiva / / Dylan si conferma un maestro nell'uso della parola "orale" (spero che si intuisca quello che voglio dire) e quindi di una "letteratura" particolare / una delle cose che mi colpì è che lui parla praticamente bene di tutti / immagino abbia avuto anche contatti spiacevoli, ma, molto semplicemente, non ne ha parlato / le notizie vecchie: condivido tutto / in generale poi Dylan (nelle canzoni più che qui, dove come scrittore scrive ovviamente ex-post) facilmente usa "toni profetici" (salvo poi lamentarsi del fatto che si attribuisca un qualsiasi tipo di rilevanza alla sua visione del mondo) / con tutta l'artificiosità che a volte gli si può attribuire rispetto alla sua costanza nel voler ri-costruire il proprio mito (questo è un discorso molto lungo che non riguarda solo il suo essere artista ... menestrello ... portavoce ... ma anche il NET ..., ma anche la sua vita come opera), uno dei motivi per i quali sento di dovergli essere grato è stata ed è la fatica che immagino gli costi rimanere fedele alla sua musa stando nel mondo ma senza essere del mondo
Alexan wolf

Rudy Salvagnini ha detto...

Giusto. Gli esteti della stroncatura e gli amanti del pettegolezzo feroce non trovano pane per i loro denti nell'autobiografia di Bob Dylan. L'atteggiamento, saggio e conseguito nel tempo, è quello che risulta anche da questi versi di Mississippi: "But my heart is not weary, it's light and it's free/I got nothing but affection for those who've sailed with me". Dove i compagni di viaggio sono gli spiriti affini, forse anche quelli, come noi, che non ha mai conosciuto, ma lo hanno in qualche modo accompagnato durante la sua carriera. Non che manchino in Chronicles le tirate polemiche (come quella sui tizi che lo assediavano a Woodstock), ma sono più verso fenomeni sociali e atteggiamenti che verso persone, che infatti restano innominate. Del resto, il tempo impiegato a parlar male di qualcuno è sicuramente più utilmente usabile a parlar bene di chi ti ha positivamente influenzato o aiutato. E se uno non trova nessuno che abbia o abbia avuto quelle caratteristiche vuol dire che si è posto con occhi e orecchie tappati di fronte al resto del mondo. Ciao e grazie dell'intervento.