lunedì 7 gennaio 2013

P.O.E. Project of Evil

Gli esiti dell’interessante P.O.E. Poetry of Eerie hanno generato un altro omnibus ispirato ai racconti di Poe, questa volta intitolato, per restare nel campo degli acronimi, P.O.E. Project of Evil. Come nel caso del film precedente, anche stavolta gli esiti, com’è proprio e inevitabile in un film a episodi, sono diversi, ma, più dell’altra volta, sembra cogliersi una spinta verso la ricerca espressiva pura piuttosto che verso la comunicativa, anche se non mancano le eccezioni più disponibili verso lo spettatore comune e in ogni caso la tendenza in sé non è da intendersi in senso negativo.

Il primo episodio è Il pozzo e il pendolo di Donatello Della Pepa, nel quale un uomo si ritrova da solo in una stanza completamente bianca. Sgomento, l’uomo cerca invano qualcun altro, una via d’uscita. Misura il luogo, si infuria, riflette, sporca il bianco immacolato con il suo sangue, dorme sperando inutilmente in un risveglio migliore. Qualcuno lo tiene d’occhio su un monitor: è la cavia di un esperimento. Un buco nero si apre sul pavimento, sempre più ampio e minaccioso, profondissimo: è il “pozzo”. Il pozzo e il pendolo è uno dei più famosi racconti di Poe ed è stato oggetto di diverse traduzioni cinematografiche - quelle di Corman e di Stuart Gordon sono forse le più famose -  che hanno preferito esteriorizzare gli incubi di Poe privilegiandone il contorno (inventato nel caso di Corman, tratto dalla periferia del racconto - l’inquisizione - in quello di Gordon) e mantenendo il micidiale macchinario di morte quale chiaro riferimento allo scrittore. In questo caso, l’enfasi è sulla solitudine dell’individuo di fronte all’orrore, proprio come avveniva nel racconto, anche se l’abisso nel quale guarda impaurito il protagonista sembra provenire più da Nietzsche che da Poe. Azzeccata - e anche cinematograficamente più funzionale - l’ambientazione, invece che nel buio, in un bianco abbacinante. Stilisticamente l’esercizio convince, ma narrativamente è poco incisivo, con una chiusa non all’altezza.


Il secondo episodio è Solo di Angelo e Giuseppe Capasso. Un uomo si risveglia legato a una sedia nello scantinato della fabbrica di sua proprietà, mentre un tizio - che lavora per lui proprio in quella fabbrica ed è stato gratificato di un nomignolo irridente - lo sorveglia sornione e si rifiuta di liberarlo. L’industriale, inquieto e arrabbiato, gli chiede cosa voglia da lui, ma scopre che le cose non sono per nulla semplici: rancore, invidia e risentimento sono montati negli anni, soprattutto a causa di una donna, Sara, attuale moglie dell’industriale. Il gioco psicologico tra la vittima e il carnefice è condotto attraverso dialoghi talvolta didascalici e non sempre credibili, anche per un’enfasi recitativa che non sempre aiuta. Il tentativo è quello di spiazzare lo spettatore, ma gli sviluppi narrativi conducono a un colpo di scena un po’ forzato e che si annuncia con troppa evidenza.


Il terzo episodio è Perdita di fiato di Edo Tagliavini. Giovanni va a trovare lo spavaldo Francesco, un attore (e pornostar) braccato dall’Ufficio Imposte, nella sua ottava casa e lo avvisa di non giocare con Manero perché è un tipo pericoloso. Con l’occasione, Giovanni informa anche Francesco che la sua attività come pornostar gli ha fatto perdere un ruolo “normale” cui aspirava. Francesco non la prende bene e, durante una performance porno, si ritrova letteralmente senza fiato, senza più respiro. In bianco e nero (tranne qualche sprazzo a colori) e prevalentemente muto, con le didascalie in luogo dei dialoghi, questo episodio cerca di creare un’atmosfera irreale, spiazzante e quietamente ossessiva, riprendendo il consistente lato grottesco ben presente in Poe. La curiosa trivialità del contesto rende bizzarra - ai limiti dell’insensato - la carneficina finale, tramutandola in una sorta di barzelletta crudele. Curiosa la ricerca stilistica che, in fondo, rende tutti i personaggi - non solo il protagonista (che infatti, in qualche modo, riacquista sonorità proprio una volta perso il fiato) - senza parole.

 

Il quarto episodio è I delitti della Rue Morgue di Alberto Viavattene. Dopo una scopata con due donne, un uomo le paga e se ne va. Le donne rimangono da sole nella loro stanza. Una delle due si fa una pera e, di conseguenza, va a vomitare in bagno. Nel mentre, la sua compagna è aggredita da un essere scimmiesco che la strazia abusandone sessualmente. La dopata, rientrando, è sconvolta dalla vista, ma lo è ancora di più quando lo scimmione rivolge su di lei le sue attenzioni. Immerso in fascinosi colori baviani e ricco di giochi di luce ricercati ed efficaci, il racconto assume toni da incubo realistico, rievocando liberamente uno dei più celebri racconti di Poe e cercando di coglierne nuovi significati mutandone la chiave di lettura. Elegante e crudele, è chiuso da una lunga scena a camera fissa che trasmette la desolazione e l’incertezza che seguono al massacro.


Il quinto episodio è Il cuore rivelatore di Nathan Nicholovitch. India. Un barbone, dopo un periodo di vagabondaggio nella miseria, si risistema e, tagliati barba e capelli, riacquisisce un aspetto più o meno urbano. Ma non basta. Privo di dialoghi e raccontato unicamente con le immagini, l’episodio dipana una torva parabola (probabilmente) sulla ricerca di un’improbabile redenzione. La narrazione - non troppo decifrabile, almeno da parte mia - non è scevra da sgradevolezze estetiche accoppiate a immagini affascinanti creando un contrasto visivo che non si dimentica. Criptico, a tratti reso interessante dall’ambientazione esotica. 


Il sesto episodio è Il metodo del Dott. Catrame e Prof. Piuma di Domiziano Cristopharo (autore del quale ho già più volte parlato in questo blog). Elbasani, Albania, 1977. Poe, atteso, arriva in una strana clinica psichiatrica dove un uomo elegante e leggermente sinistro nella sua cortese cordialità lo accoglie, rivelandogli d’averlo visto in un sogno, con il volto devastato e pieno di vermi. Le grida degli internati si intromettono nel dialogo tra i due, ma la discussione procede tranquillamente, incentrata sul nuovo metodo di cura usato in quella sede. Ma a Poe è stato servito un bicchiere di Amontillado, un vino che può avere strani effetti collaterali in chi non lo beve abitualmente. Girato in un rigoroso bianco e nero, l’episodio riprende l’originaria riflessione del racconto (uno dei meno cinematograficamente frequentati: è il caso solo di ricordare comunque la buona versione di Juan Lopez Moctezuma, The Mansion of Madness) sulla confusione tra pazzia e normalità e sulla sostanziale contiguità delle due condizioni, ponendo, con un’interessante asincronia temporale, al centro della vicenda lo stesso Poe, visto come elemento di una improbabile normalità, l’unico cioè a trovare strano quanto sta succedendo. Ma è proprio questo uno dei punti di maggiore interesse perché la parte razionale di Poe è messa di fronte ai propri incubi, dei quali Poe stesso è protagonista in uno sdoppiamento fisico e caratteriale che simboleggia l’ambivalenza non solo sua, ma della natura umana. La buona recitazione - in particolare di Virgilio Olivari e di Dario Biancone nel ruolo di Poe - e un certo respiro narrativo assecondano le inquietudini suscitate dal racconto. Azzeccata anche l’ambientazione modernista e quasi techno, spoglia il giusto per rendere con efficacia la spettrale e spersonalizzante asetticità del luogo di (non) cura. 

Il settimo episodio è La sepoltura prematura di Giuliano Giacomelli. Una persona si ritrova seppellita viva all’interno di una bara. Con un accendino rischiara la sua solitudine e riguarda una foto che lo ritrae assieme a una donna, la sua donna. Sente dei rumori, degli sballottamenti e chiede invano d’essere fatto uscire. Poi cerca disperatamente da sé una via di fuga. La situazione di partenza è ormai prototipica, però conduce a uno sviluppo interessante e a suo modo spiazzante, che rimanda simpaticamente agli horror di qualche tempo fa e non delude. 

Dedicato allo spettatore amante delle sperimentazioni più che dell’horror puro e semplice, il film contiene comunque abbastanza per incuriosire e interessare entrambe le tipologie. 


Le immagini appartengono agli episodi I delitti della Rue Morgue e Il metodo del dott. Catrame e Prof. Piuma e sono tratte dal profilo Facebook del film, che vi invito a visitare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ho visto il film, in generale anch'io penso che vale la pena dargli un'occhiata ma, penso che sia un progetto coraggioso e ben riuscito ma, se posso dire la mia, non sono molto d'accordo con quello che leggo. Credo che il lavoro sia abbastanza omogeneo nel suo insieme e nell'insieme va valutato proprio perché è un lavoro "collettivo". Penso sia riduttivo analizzare "chiuse" o "scelte stilistiche" ragionando sul singolo episodio visto che ognuno dipende dall'altro e influenza ritmi e cadenze. Inoltre, sempre secondo me, questa recensione non valuta gli episodi confrontandoli prettamente su caratteristiche specifiche - sceneggiatura, fotografia, montaggio ecc - ma solo motivando in maniera poco oggettiva delle idee o sensazioni proprie di chi scrive. La penso diversamente su molti punti, quando si parla dei singoli episodi beh, non credo ci fosse questa differenza così larga tanto da avere "tanto da vedere" - almeno tanto quanto c'ha visto lei - in alcuni passaggi del film e così "miserabilmente poco" in altri punti. Magari rivaluterei questa forbice di distinzione. Ad ogni modo io penso cose diverse, credo, per puro gusto mio personale.

Grazie, Siro.