lunedì 14 febbraio 2011

Bob Dylan ai Grammy Awards


Ieri sera alla consueta cerimonia dei Grammys - uno dei premi meno interessanti che io conosca non foss’altro che per l’incredibile moltiplicazione delle categorie che rende poco significativa qualsiasi vittoria - si è verificato un evento che ha avuto come protagonista Bob Dylan.

Come sappiamo - ne ho parlato anche in Il cinema di Bob Dylan - Dylan è più volte salito sul palco dei Grammys, a partire dalla fine degli anni ‘70 per ricevere premi o per altro, concretizzando alcuni momenti memorabili: il discorso di accettazione del premio alla carriera (ormai vent’anni fa!) e Love Sick con l’intrusione del sedicente Soy Bomb sono solo un paio.

Anche questa volta, Dylan non si è voluto smentire e, nell’ambito di un siparietto acustico tra la paillettes dei Grammys, si è esibito con una numerosa band di supporto che comprendeva Mumford and Sons, gli Avett Brothers e alcuni membri del gruppo che lo segue in tour da molti anni (compreso l’immancabile Tony Garnier).

La canzone scelta non è tra quelle più ignote o meno eseguite in pubblico - Maggie’s Farm - ma, come ha notato qualcuno, la scelta è più significativa di quanto si possa superficialmente pensare: Dylan ha infatti, un po’ perversamente come gli è consueto, scelto per un’esibizione acustica proprio una delle canzoni con cui era “diventato elettrico” nell’ormai lontano Festival di Newport del 1965, in una sorta di ritorno al passato, un passato ovviamente rivisitato.

L’esibizione, con un po’ di buona volontà la si trova qui e là, e dovrebbe essere comunque trasmessa tra un paio di giorni in Tv (sul sito Maggie's Farm si parla di una trasmissione il 16 febbraio alle 22: 00 su ITV2, per chi riesce a prendere questa emittente che se non sbaglio è inglese). Chi apprezza Bob Dylan non dovrebbe perderla: infatti, al di là dell’interesse per questo ritorno alla fattoria di Maggie, l’interpretazione in sé è stata trascinante e degna di nota. Il ritmo travolgente e l’accompagnamento caotico di frotte di musicisti con i più svariati strumenti acustici hanno fatto da contorno a un Dylan in grande forma e con l’aria di divertirsi parecchio. La voce è quella rotta e straziata degli ultimi anni, ma la sua espressività non è ridotta. Il significato della canzone si mantiene intatto - con la sua ribellione al potere padronale - e il ritmo incalzante e la positività che questa interpretazione trasuda la fanno diventare, più che un grido di rabbia come ai vecchi tempi, un inno libertario e anarchico.

Qui sopra un’immagine dall’esibizione.

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